Consultation: | (17.05.2025) Delegiertenversammlung 2025 | Assemblée des délégué·es 2025 | Assemblea de* delegat* 2025 |
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Proposer: | JUSO Schweiz (decided on: 04/12/2025) |
Status: | Submitted |
Decided on: | 04/12/2025 |
Submitted: | 04/12/2025, 23:15 |
Cambiamento di sistema invece di promesse di inclusione: organizziamo una resistenza antiabilista!
Motion text
Introduzione: l'abilismo come problema sistemico
Con l'adesione alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone
con disabilità (CRPD), la Svizzera si è impegnata a porre fine alla
discriminazione nei confronti delle persone con disabilità e a garantirne le
pari opportunità. La realtà è però un’altra: il Comitato ONU sui diritti delle
persone con disabilità ha chiarito nel 2022 che la Svizzera è ancora lontana dal
raggiungere gli obbiettivi prefissati. Nonostante i requisiti di legge, le
persone con disabilità continuano a essere svantaggiate in quasi tutti gli
ambiti della vita, che si tratti di lavoro, alloggio o assistenza sanitaria. Dal
punto di vista politico, permangono misure che lasciano inalterate le strutture
esistenti o addirittura fanno passi indietro che rendono ancora più difficile la
vita delle persone con disabilità.
Questa continua emarginazione non è una svista o un fallimento di singole
strutture della società, ma è profondamente radicata nel sistema sociale ed
economico, come ad esempio nella definizione sociale di disabilità e non
disabilità. Anche all’interno del capitalismo ci sono queste discriminazioni.
Questo sistema valuta le persone in base alle capacità e alle prestazioni: chi
non rientra nel sistema orientato alle prestazioni viene emarginat*, sfruttat*
in condizioni precarie o completamente esclus* dal mercato del lavoro. In questo
modo, il capitalismo non solo assicura la propria logica del profitto, ma
mantiene anche le gerarchie sociali.
È per questo che le richieste riformiste di inclusione rimangono insufficienti
se lasciano inalterate le strutture capitalistiche. Una vera rottura con
l'abilismo richiede un cambiamento fondamentale e sistemico. Una politica
radicale sulla disabilità deve essere anticapitalista. Questo documento analizza
come abilismo, capitalismo, patriarcato e supremazia bianca siano
inestricabilmente intrecciati. Con questo documento si vuole mostrare che una
società libera dall’abilismo non può essere realizzata all'interno del
capitalismo e ciò che è necessario per una lotta antiabilista.
Disabilità e abilismo nel capitalismo
Per capirlo, dobbiamo innanzitutto esaminare più da vicino cosa sia la
disabilità. La disabilità non è un fatto biologico, ma una realtà quotidiana e
una categoria sociale. La questione dei confini di questa categoria è difficile
da risolvere. Ad esempio, le cosiddette disabilità invisibili - a differenza di
quelle visibili - spesso non sono percepite come disabilità, ma piuttosto come
comportamenti individuali sbagliati e sono raramente discusse a livello
politico. La comune suddivisione in disabilità fisiche, mentali e cognitive
dimostra che le disabilità sono multiformi. Allo stesso tempo, gli effetti
individuali e sociali di queste sottocategorie si sovrappongono. Poiché questo
documento adotta una prospettiva di analisi sistemica, verrà operata una sorta
di omogeneizzazione della disabilità. Una distinzione dettagliata tra tutti i
gruppi, le esperienze e le realtà della vita non è risolutiva e sarebbe anche
una falsa generalizzazione. La disabilità è una questione sistemica ed è
strutturalmente ancorata alla società, ma allo stesso tempo rimane una realtà e
un'identità individuale.
In teoria, esistono numerosi modelli per descrivere la disabilità, che adottano
prospettive diverse, motivo per cui i modelli si integrano piuttosto che
competere l'uno con l'altro. Il modello medico vede la disabilità come
limitazioni funzionali individuali, cioè menomazioni, e quindi collega le
difficoltà delle persone disabili direttamente alle loro condizioni fisiche,
psicologiche o mentali. Il modello sociale, invece, vede la disabilità come una
costruzione sociale e come un'interazione tra le menomazioni di una persona e la
società. A differenza del modello medico, il modello sociale riconosce che la
persona è disabile a causa del suo ambiente e delle barriere create dalla
società. Allo stesso tempo, il modello sociale rafforza le norme definendo le
menomazioni. Il modello culturale amplia questo concetto e si concentra sulla
diversità dell'esistenza umana. Questo modello considera la disabilità non come
un problema da superare, ma come parte integrante dell'identità individuale.
Mentre il modello sociale sottolinea la necessità di un cambiamento sociale, il
modello culturale mette in discussione la problematizzazione fondamentale delle
differenze fisiche, mentali o psicologiche.[1]
Anche se i modelli sociali e culturali forniscono un buon punto di partenza per
la comprensione della disabilità, rimangono incompleti. Questo perché non
tengono sufficientemente conto delle radici capitalistiche e delle conseguenze
economiche della disabilità. Un modello materialista dialettico della disabilità
si chiede perché alcuni corpi e abilità siano socialmente svalutati. La risposta
risiede nel rapporto con il modo di produzione capitalistico. La sovrastruttura
di una società, cioè il suo ordine politico e il suo potere di interpretazione
culturale, è radicata nella sua base economica.[2] Oggi nella coscienza sociale
è radicata la visione secondo la quale il valore di una persona è misurato dalla
sua capacità di generare valore aggiunto. Chi non soddisfa questo standard è
considerato “improduttivo” e sistematicamente escluso.
L'abilismo può essere definito sulla base di questa concezione della disabilità.
Il termine descrive l'oppressione sistematica delle persone disabili. Questa
oppressione si basa sul fatto che a certe persone viene attribuito un valore
inferiore rispetto ad altre a causa delle loro capacità fisiche, psicologiche o
mentali. L'abilismo nasce da questa distinzione tra persone disabili e non
disabili. Le norme di abilità sono alla base di questo fenomeno: ci sono delle
aspettative sulle cose che una persona deve essere in grado di fare per essere
considerata “pienamente abile”. Queste aspettative non esistono in modo
naturale, ma si sono evolute storicamente e socialmente. Esse creano una
gerarchia in cui alcune persone sono considerate capaci e utili, mentre altre
sono svalutate ed escluse. Le persone disabili non sono un gruppo omogeneo: le
loro esperienze, le loro condiziono e le loro difficoltà sono diverse e la loro
esclusione avviene in modi diversi. Ciò che hanno però in comune è il fatto di
essere dichiarat* inadeguat* rispetto alle norme di abilità.
Le norme di abilità sono profondamente radicate nelle strutture sociali.
Determinano chi ha accesso al lavoro, all'istruzione o al riconoscimento sociale
e danno forma all'idea di una vita "buona" e "piena". L'indipendenza, la
produttività e la resilienza sono considerate caratteristiche desiderabili. Allo
stesso tempo, la dipendenza, la necessità di assistenza o le limitazioni
personali sono percepite come deficit. Le norme sulle disabilità riflettono i
valori sociali odierni: sono di natura patriarcale e coloniale e sono
direttamente ancorate al modo di produzione capitalistico. Chi non produce
valore aggiunto è vist* come un peso. I rapporti di lavoro e l'istruzione
riproducono queste strutture, trasmettendo fin dalla più tenera età l’idea che
il valore di una persona deve essere equiparato al rendimento. Questa ideologia
è in ultima analisi interiorizzata anche dalle stesse persone disabili, che
spesso imparano a giustificare la loro esistenza adattandosi o soffrendo della
vergogna di essere un peso. L'abilismo non è quindi un effetto collaterale, ma
un principio fondamentale della società capitalista. È così che capitalismo e
abilismo si rafforzano a vicenda: un sistema crea la norma, l'altro costringe le
persone a conformarsi.
Un antiabilismo rivoluzionario deve quindi andare oltre lo smantellamento delle
barriere. Non basta migliorare l'accesso agli spazi esistenti: occorre mettere
in discussione le fondamenta stesse di questi spazi. Una società libera non
significa solo inclusione nel capitalismo, ma anche il suo superamento.
La disabilità nella storia
L'abilismo non è solo un effetto collaterale del capitalismo, ma nella sua forma
attuale dipende dalle stesse logiche individualiste, eugenetiche e antisociali.
Nella costante ricerca del profitto, che deve essere massimizzato per superare
la concorrenza, il capitalismo non include nel sistema gli elementi ritenuti
meno produttivi. Le persone considerate “improduttive” vengono emarginate a
causa della povertà, dell’insicurezza o per discriminazione diretta. Non si
tratta di una novità, ma di un fenomeno con una lunga storia. Tuttavia,
scriverlo per esteso è un compito talmente gravoso che non può essere svolto in
un semplice documento di posizione. Pertanto, questa sarà una semplice analisi
di alcuni momenti che caratterizzano la società europea in relazione alla
disabilità. Va notato che il concetto di disabilità è socialmente costruito e
storicamente situato.[3]
In primo luogo, esistono forme di abilismo che arrivano fino all'uccisione di
persone considerate “inferiori*, sia a causa di una condizione di nascita, sia a
causa di malattie, incidenti o età. Queste pratiche esistono da sempre, o
perlomeno fino a dove arriva la ricerca storica, anche se alcune società non le
hanno descritte esplicitamente. Infatti, molto prima che Francis Galton
inventasse la parola “eugenetica” nel 1883,[4] possiamo trovare società che
uccidevano sistematicamente i/le* neonat* cosiddett* “deformi” con l'obiettivo
di ripulire la popolazione. L'esempio più triste è quello della società spartana
dove, secondo l'unica fonte disponibile, sembra che venissero uccis* i/le*
bambin* che non erano considerat* abbastanza “forti”.[5] Questo destino nefasto
per le persone considerate “inferiori” o “storpie” compare anche in molte opere
di teoria politica molto influenti all'epoca, come la Repubblica di Platone.[6]
Anche le antiche società romane e le tribù germaniche praticavano lo stesso
infanticidio selettivo nello stesso periodo. La religione, sia nell'antichità
sia attraverso il cristianesimo, era spesso una ragione per l'esclusione delle
persone considerate storpie: la loro sofferenza era vista come una punizione
divina.
Con l'ascesa dell'industria e del capitalismo, sono emersi mercati del lavoro
paralleli e istituzioni domestiche. Queste sono state inventate nell'Inghilterra
vittoriana industrializzata con le workhouse, luoghi di lavoro per persone
povere e “storpi” in condizioni terribili. Le persone disabili venivano
sfruttate per ottenere cibo e alloggio.
Per massimizzare i profitti in un'economia del lavoro su larga scala e basata
sulla produzione, il capitalismo ha dovuto standardizzare i/le*
lavoratori/trici* in modo che diventassero ingranaggi intercambiabili: sono
stat* oggettivizzat*![7] L'industrializzazione ha anche introdotto una nuova
disciplina del lavoro in cui solo alcuni corpi e abilità erano considerati
“preziosi”. L'ideologia che ha prevalso nello sviluppo capitalistico del mondo
rafforza il mito della realizzazione, dell'auto-aiuto e dell'impegno
individuale. Chi non può lavorare viene percepit* come un peso e diventa il
punto di riferimento negativo della società. Ciò si riflette nella storia
dell'assistenza sociale, che distingue tra "poveri meritevoli" (che lavorano) e
"poveri non meritevoli" (che non possono lavorare).
Nel XX secolo, questa logica è stata ampliata con il fordismo e la
standardizzazione del lavoro industriale. Il/la* lavoratore/trice* ideale è ora
una persona disciplinata, efficiente e sana. Le persone disabili che non si
conformano a questo modello previsto sono sempre più emarginate, collocate in
istituti speciali, in case di riposo o in circuiti paralleli al mercato del
lavoro globale. La competizione tra lavoratori/trici* per vendere la propria
forza lavoro al fine di guadagnarsi da vivere ha permesso alla borghesia di
imporre a gran parte della popolazione la partecipazione attiva al sistema
economico. Alcune forme di lavoro, come quello a cottimo,[8] intensificano
ancora di più la competizione tra lavoratori/trici* per ottenere un posto di
lavoro in una società in cui il lavoro non è un diritto fondamentale. Questa
logica di produttività e ottimizzazione della forza lavoro esclude coloro che
non riescono a tenere il passo. Per le persone disabili, questo significa di
solito l’esclusione dal mercato del lavoro. Questo porta alla povertà e
all'emarginazione sociale, poiché è vantaggioso per i capitalisti mantenere
parte della popolazione in situazioni di non occupazione (disoccupazione,
rifiuto di partecipazione, ecc.) per avere una sorta di “esercito di
riserva”.[9]
Il neoliberismo ha esacerbato ulteriormente questa situazione. Propagando
l’individualismo e la responsabilità personale, l'onere del proprio successo o
del proprio fallimento grava ancora di più su tutt*. Allo stesso tempo, sono
stati eliminati i pochi elementi di solidarietà e di aiuto reciproco che erano
ancora presenti nel sistema. Chi non soddisfa i requisiti di rendimento viene
incolpato della sua situazione e considerato “improduttivo”. Questa mentalità
porta molte persone a minimizzare i propri limiti, a ignorare le proprie
esigenze e a superare i propri limiti, spesso a scapito della propria salute. Il
risultato è una meritocrazia che non solo emargina e discrimina le persone
disabili, ma esercita anche un'enorme pressione sull'intera popolazione.
Lavoro, stato sociale e povertà
Questa pressione è particolarmente evidente per le persone con disabilità sul
mercato del lavoro. Coloro che lavorano nel mercato del lavoro regolare sono
discriminat* a causa della concorrenza per i posti di lavoro e delle elevate
aspettative di produttività. Allo stesso tempo, molt* sono costretti a uscire
dal mercato del lavoro regolare a causa di questi meccanismi. Per questo motivo
è stato creato il cosiddetto “mercato del lavoro secondario”, ovvero i
laboratori protetti e i centri diurni. Secondo un'indagine condotta alla fine
del 2018, in più della metà delle aziende intervistate il salario più basso nel
mercato del lavoro secondario è inferiore a 1,99 franchi.[10] Si tratta di una
cifra ben lontana da un salario sufficiente per vivere una vita indipendente e
soddisfacente. Il basso salario è spesso spiegato dal fatto che si tratta solo
di una “paghetta” o di un “reddito aggiuntivo” a una pensione AI e che il lavoro
è principalmente un’occupazione quotidiana. Il lavoro delle persone disabili non
è quindi percepito come un lavoro “a tempo pieno”, mentre il mercato del lavoro
secondario fornisce spesso lavori importanti per l'economia regionale a prezzi
stracciati.[11] Tuttavia, anche con le pensioni di invalidità e le prestazioni
integrative, i salari del mercato del lavoro secondario sono ancora inferiori ai
salari minimi dei CCL.[12] Un problema importante è la pratica dell'inabilità al
lavoro. I criteri in base ai quali le persone vengono classificate come “idonee
al lavoro” o “inabili al lavoro” non sono neutrali, ma servono a minimizzare i
costi. Molte persone effettivamente inabili al lavoro sono costrette a mettersi
alla prova sul mercato del lavoro, spesso senza alcuna prospettiva di trovare un
lavoro con un salario o adeguato.
La soluzione non sta nel riformare il mercato del lavoro secondario, ma nella
sua abolizione. Le strutture del mercato del lavoro secondario spesso combinano
lavoro, assistenza e residenza in un unico luogo. Esse creano di fatto la
propria ragion d'essere: attraverso queste strutture, il sistema capitalista non
ha motivo di rendere accessibili i posti di lavoro nel mercato del lavoro
primario. Poiché nel mercato del lavoro primario non ci sono praticamente posti
di lavoro accessibili, c'è bisogno di un'alternativa per le persone con
disabilità. Questa alternativa è fornita dal mercato del lavoro secondario, che
è in gran parte responsabile del problema dell'inaccessibilità del mercato del
lavoro primario. Inoltre, le strutture del mercato del lavoro secondario non
hanno alcun mandato per il collocamento nel mercato del lavoro primario.[13] È
quindi comprensibile che le persone disabili oggi lavorino nel mercato del
lavoro secondario e ne siano dipendenti. Il problema non sono loro, ma la
struttura del mercato del lavoro. Le persone disabili non devono essere relegate
in strutture speciali, ma devono essere considerate lavoratori/trici* con pari
diritti. Ciò richiede un sistema economico fondamentalmente diverso, in cui il
lavoro sia organizzato in base alle possibilità piuttosto che al profitto.
Occorre iniziare dall'istruzione. L'esclusione delle persone disabili dalle
scuole tradizionali le isola socialmente dalle persone loro coetanee e distrugge
le loro possibilità di ottenere una buona istruzione o una carriera
soddisfacente. Questa segregazione rende più difficile l'integrazione delle
persone disabili nella società e rafforza le norme abiliste. Anche
l'affermazione che le persone disabili stiano meglio in classi speciali o scuole
speciali per ricevere un sostegno più orientato ai bisogni è falsa. Chi sostiene
le scuole speciali ignora il fatto che le scuole tradizionali non hanno le
risorse per adattare l'insegnamento e le altre strutture alle esigenze di tutt*
gli/le* studenti. Di conseguenza, nelle scuole inclusive di oggi, i/le* bambin*
disabili vengono istruit* in un sistema che è principalmente orientato alle
esigenze del sistema economico e che strutturalmente non rende giustizia
agli/alle* alunn* disabili o a molti altr* alunn*. Gli/le* alunn* disabili fanno
più progressi nelle scuole inclusive che nelle scuole speciali, ma i progressi
di apprendimento degli/delle* alunn* non disabili non sono peggiori.[14]
Rivendicazioni
La creazione di un sistema scolastico inclusivo, che costituisce la base
per un mondo del lavoro inclusivo. A tal fine devono essere disponibili
risorse sufficienti.
Le aziende e le autorità sono tenute a rimuovere le barriere abiliste nei
loro luoghi di lavoro, laddove possibile. Le aziende che non coinvolgono
attivamente le persone disabili devono essere multate pesantemente. Il
denaro ricavato deve essere utilizzato per misure a beneficio delle
persone disabili.
Tutti i/le* lavoratori/trici* devono ricevere un salario sufficiente per
vivere. Chiediamo quindi un salario minimo mensile di 5’000 franchi
svizzeri per tutt* i/le* lavoratori/trici del mercato del lavoro primario
e secondario.
I mercati del lavoro primario e secondario devono essere fusi in un
mercato del lavoro unico. I bisogni di tutt* i/le* lavoratori/trici*
devono essere posti al centro invece dei profitti.
La politica sociale e la privazione dei diritti
come controllo dello Stato
Lo Stato borghese finge di garantire la protezione delle persone disabili, ma in
realtà i suoi sistemi sociali e legali stabilizzano la logica capitalistica
dello sfruttamento e favoriscono l'esclusione sociale. Lo Stato garantisce la
sopravvivenza delle persone disabili solo nella misura in cui contribuisce a
mantenere l'ordine esistente. Questo si può vedere, ad esempio, nella violenza
della polizia: secondo uno studio pubblicato nel 2016, dal 33 al 50% delle
vittime della violenza della polizia negli Stati Uniti sono persone disabili.
Nei casi in cui le persone vengono uccise dalla polizia, quest'ultima spesso
attribuisce la colpa del decesso alla disabilità o alla malattia, anche se la
disabilità non ha nulla a che fare con la morte. L'esempio più famoso è la morte
di George Floyd. Floyd morì dopo che un agente di polizia si inginocchiò sul suo
collo per oltre otto minuti. L'autopsia ufficiale della polizia ha citato una
patologia cardiaca esistente come fattore principale che ha portato alla sua
morte.[15]
Le persone disabili sono spesso percepite dalla polizia come “non
collaborative”, perché a causa della loro disabilità non reagiscono nel modo in
cui la polizia si aspetta. Le persone BIPoC disabili[16] sono percepit* come
particolarmente minacciose. Anche se non esistono indagini in merito, ci sono
molti indizi che indicano che le persone BIPoC disabili sono vittime di violenza
da parte della polizia molto più frequentemente di quelle BIPoC non disabili o
delle persone bianchedisabili. Inoltre, a causa della supremazia bianca, le
persone BIPoC sono spesso sproporzionatamente disabili e hanno meno accesso alla
diagnostica e alle cure mediche rispetto a quelle bianche.[17]
Invece di riconoscere la disabilità come una costruzione sociale che nasce dai
rapporti di produzione, lo Stato borghese organizza sistematicamente la
dipendenza delle persone disabili dalle sue istituzioni. Attraverso le
assicurazioni sociali, il paternalismo legale e le misure di politica sanitaria,
si creano strutture che mantengono le persone disabili in povertà, limitano la
loro autodeterminazione e le escludono dal mercato del lavoro. Lo Stato borghese
funge da braccio esteso degli interessi del capitale e da amministratore dei
meccanismi capitalistici di esclusione. Chi vuole una società antiabilista non
deve quindi sperare nelle riforme. La lotta contro l'abilismo deve sempre essere
una lotta contro lo Stato borghese e il suo dominio di classe.
L'assicurazione per l'invalidità (AI) è uno strumento centrale del controllo
statale in Svizzera. Viene presentata come un sistema di sicurezza per le
persone disabili, ma in realtà serve soprattutto a regolamentare il lavoro: il
suo scopo principale non è fornire sicurezza, ma “reintegrare” le persone nel
mercato del lavoro, in condizioni che spesso costringono le persone disabili a
condizioni di lavoro segregate e determinate dall'esterno o mal pagate e
precarie. Anche il termine “assicurazione per l'invalidità” rivela la logica
peggiorativa del sistema. “Invalido” deriva dal latino e significa “senza
valore”. Il termine chiarisce che il sistema non è stato creato per le persone
disabili.
Le decisioni in materia di pensioni richiedono spesso dai tre ai cinque anni. Le
persone richiedenti devono autorizzare l'AI a ottenere tutte le informazioni
private possibili. Durante questo periodo, le persone interessate sono spesso
costrette a chiedere assistenza sociale. Le persone con disabilità non sono
adeguatamente rappresentate nei processi decisionali dell'AI, poiché si è
sviluppata un’“industria delle perizie” che valuta le persone per conto dell'AI.
Queste valutazioni spesso si pronunciano arbitrariamente contro
l'assicurato.[18] Un'indicazione di ciò è che nel 2019 è stata impugnata una
decisione di rendita AI su quattro.[19] Inoltre, le rendite AI garantiscono a
malapena l'esistenza finanziaria. Circa la metà delle persone beneficiarie
dell'AI dipende da prestazioni complementari.[20] Nel recente passato, diverse
revisioni della legislazione sull'AI hanno introdotto numerose misure per
ridurre le prestazioni e stabilire pratiche più severe. Di conseguenza, le
persone beneficiarie delle pensioni sono spesso costrett* alla povertà. Nel
2021, una persona disabile su sei era a rischio povertà. Più una persona è
limitata dalla sua disabilità, maggiore è il rischio di povertà.[21] Ciò
significa che l'AI non solo fornisce una protezione inadeguata contro la
povertà, ma la promuove attivamente.
Queste condizioni non sono nate per caso, ma sono state create a livello
politico. Nel 2003, l'UDC sotto la guida di Christoph Blocher ha iniziato a
etichettare le persone riceventi l’AI come "falsi invalidi". In questo modo
tutt* i/le* pensionat* dell'AI sono stat* sospettat* di aver richiesto in modo
fraudolento le prestazioni. In particolare, venivano sospettate le persone con
disabilità mentali o invisibili. Queste accuse alle persone riceventi l’AI non
erano mai state fatte prima.[22] L'inquadramento delle persone riceventi l'AI da
parte dell'UDC come “pigre” o addirittura fraudolente caratterizza ancora oggi
il discorso sull'AI, con grande disappunto delle persone interessate. L'AI è
persino autorizzata a impiegare detective assicurativi per scoprire eventuali
frodi.[23]
Ciò significa che l'assistenza sociale è spesso l'ultima risorsa per le persone
disabili. Tuttavia, le prestazioni sociali coprono a malapena il livello minimo
di sussistenza e l'assistenza sociale viene erogata solo quando il patrimonio
esistente è quasi completamente esaurito.[24] L'assistenza sociale è soggetta a
condizioni rigorose: chiunque sia classificato come “idoneo al lavoro” deve
aspettarsi di essere sottoposto a misure come la richiesta obbligatoria di
lavoro o programmi di formazione, che di solito non offrono prospettive
realistiche. Chi rifiuta queste misure rischia di vedersi ridurre o revocare
completamente l'assistenza. In questo modo, la povertà viene usata come
strumento di disciplina. Invece di creare una società in cui tutt* possano
vivere bene indipendentemente dalla loro capacità di lavorare, lo Stato
costringe le persone a strutture che le rendono dipendenti da esso.
Questo controllo statale continua con la curatela generale, che priva le persone
colpite dell'opportunità di prendere decisioni autonome sulla propria vita,
affidando a una persona esterna - spesso senza il consenso dell'interessat* - la
decisione sulle finanze, sulla situazione abitativa e sulle decisioni di base
della vita. Questo controllo esterno porta a restrizioni massicce. Le persone
sottoposte a curatela generale vengono private dei diritti fondamentali come il
diritto di voto e di elezione. Ciò le esclude dalla partecipazione politica,
mentre le stesse autorità affermano di impegnarsi per l'inclusione. La curatela
generale continua a essere ordinata anche se la legge sulla protezione delle
persone adulte prevede forme di tutela più blande, che possono essere adattate
all'individu* interessat*.[25] La tutela completa deve essere abolita e le
tutele devono essere istituite solo con il consenso della persona interessata.
Inoltre, il numero di persone assistite per ogni tutore professionista deve
essere notevolmente ridotto, al fine di garantire un sostegno basato sui reali
bisogni.[26] Inoltre, il poco conosciuto diritto all'“assistenza personale” da
parte dell'assistenza sociale dovrebbe essere migliorato, rafforzato e
pubblicizzato per offrire un sostegno a bassa soglia ed evitare così le curatele
generali.[27]
Sebbene la Svizzera abbia firmato la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti
delle persone con disabilità (CRPD), la sua attuazione rimane chiaramente
inadeguata. Un rapporto delle Nazioni Unite del 2022 ha rivelato gravi carenze,
tra cui la mancanza di protezione contro la discriminazione, servizi di supporto
inadeguati e pratiche problematiche nelle istituzioni. È particolarmente
significativo che la Svizzera non abbia ratificato il Protocollo opzionale alla
CRPD delle Nazioni Unite, il che significa che le persone con disabilità non
hanno la possibilità di rivendicare i propri diritti davanti al comitato ONU
competente.[28]
Rivendicazioni
Alle persone con disabilità devono essere garantiti in modo coerente i
diritti fondamentali in conformità con la CRPD delle Nazioni Unite. Una
misura necessaria a tal fine è che la Svizzera ratifichi il Protocollo
opzionale alla CRPD delle Nazioni Unite.
Fermare le violenze della polizia! Ciò richiede centri di denuncia
indipendenti e comitati composti da vittime e organizzazioni di persone
migranti. A lungo termine, la polizia deve essere abolita.
Alle persone sotto tutela devono essere garantiti i diritti fondamentali
(come il diritto di voto) e la curatela generale deve essere abolita. Allo
stesso tempo, le tutele in età adulta devono essere stabilite solo con il
consenso della persona interessata.
Le rendite AI e le altre prestazioni statali devono permettere di vivere
dignitosamente. La rendita AI deve ammontare ad almeno 5’000 franchi
svizzeri (per una rendita completa) e devono essere coperti anche i costi
aggiuntivi sostenuti nella vita quotidiana a causa della disabilità.
Gli attuali sistemi di stato sociale- devono essere unificati. Le
prestazioni dello Stato sociale devono essere finanziate in modo equo e
garantire alle persone una vita dignitosa senza burocrazia o condizioni.
Una storia violenta: eugenetica ed eutanasia
Come già detto, la violenza contro le persone emarginate dalla società a causa
dell'abilismo e della loro esclusione legale e sociopolitica non è un fenomeno
nuovo. È parte di una lunga storia di violenza che attraversa la storia umana.
Nella storia recente, c'è stato un cambiamento di paradigma non trascurabile
nella questione della violenza contro le persone disabili, poiché l'antropologia
fisica è stata sviluppata e fatta propria per lo sviluppo di teorie razziali. Il
loro scopo era quello di stabilire il dominio sul Sud globale. Le teorie
razziali svolgono un ruolo cruciale nel mantenimento dei rapporti di produzione
coloniali: sono state create dal sistema imperialista e ne consentono il
mantenimento! Il darwinismo sociale emerso negli anni Settanta del XIX
secolo[29] e il suo strumento principale, ovvero l'eugenetica, derivano
direttamente dalle teorie razziali e si occupavano non solo della questione
della “razza”, ma anche di quelle che erano considerate altre caratteristiche
indesiderabili da un popolo superiore. Il movimento eugenetico mirava quindi a
influenzare consapevolmente e attivamente il genoma umano.[30] Ciò soprattutto
sterilizzando coloro che erano considerat* indesiderabili, soprattutto le donne
e, ancora oggi, le persone disabili.
Sotto il regime nazionalsocialista e attraverso l'adozione di meccanismi e
logiche coloniali, l'eugenetica raggiunse una nuova scala, prima inimmaginabile:
la persecuzione e l'uccisione sistematica di milioni di persone in Europa,
comprese le persone con disabilità. Nell'ambito del cosiddetto programma di
“eutanasia”, oltre 300’000 persone furono dichiarate "indegne di vivere" e
uccise.[31]
Le logiche abiliste hanno quindi una storia comune con quella di altre
oppressioni. Nel caso delle persone disabili o di quelle cosiddette “asociali”,
tuttavia, la giustificazione non si basava solo sulla “purezza razziale”, ma
anche sull'efficienza economica: le persone disabili erano percepite come un
fattore di costo che lo Stato cercava di eliminare. Queste pratiche
rappresentano una forma estrema degli odierni tagli sociali: le persone che non
soddisfacevano gli standard di produttività dovevano essere estirpate ed
eliminate.[32]
Tuttavia, l'interesse di un regime fascista a colpire una parte della
popolazione non deve essere ridotto a questioni ideologiche o legate alla
produzione: è necessario prendere in considerazione anche l'aspetto strategico.
Nel caso dei regimi fascisti, o più in generale dei regimi nazionalisti,
l'unificazione di un *popolo* è possibile solo attraverso l'esclusione di una
parte di esso, e l'odio contro questa parte funge da cemento sociale. Le persone
disabili erano quindi tra i capri espiatori del regime nazista, il cui obiettivo
era costruire e consolidare un immaginario popolo tedesco.
Covid-19 e abilismo
Più di recente, la pandemia di Covid-19 ha evidenziato le contraddizioni interne
dell’abilismo. La società era fortemente divisa e le teorie cospirazioniste
hanno guadagnato influenza sfruttando lo stato disperato della pandemia e
giocando sulla sfiducia delle persone nei confronti dello Stato. Da un lato,
c'erano molte persone che aderivano in larga misura alle misure di controllo.
Dall'altro lato, c'era una parte della popolazione che non aderiva alle
restrizioni e seguiva la disinformazione mirata dei teorici della cospirazione
di estrema destra.
In realtà, la portata del pericolo rappresentato dal Covid-19 è stata
sottovalutata dalla società nel suo complesso. In primo luogo, il virus aveva
gravi conseguenze per le persone disabili: nel Regno Unito, il rischio di morte
per loro era molto più alto rispetto alle persone non disabili. Tuttavia, non è
stato possibile identificare una causa isolata di questo fenomeno.[33] Ciò
potrebbe essere dovuto alla discriminazione sistemica nei confronti delle
persone disabili. Questa discriminazione si rifletteva, tra l'altro, nel fatto
che i/le* pazienti venivano privilegiat* in base alle loro “maggiori possibilità
di sopravvivenza” a causa della mancanza di spazio nelle strutture
sanitarie.[34] Le persone disabili erano trattate come cittadin” di seconda
classe; le loro vite valevano meno di quelle delle persone non disabili. La
frettolosa cancellazione delle misure di protezione ha anche dimostrato che i
governi borghesi consideravano la vita delle persone disabili e anziane meno
seriamente degli interessi economici del capitale. I capitalisti hanno poi fatto
ben poco per porre fine alla pandemia. Si sono invece attenuti alla loro
politica di massimizzazione dei profitti, ad esempio brevettando i vaccini per
le aziende farmaceutiche, ignorando gli interessi delle persone. Le conseguenze
hanno colpito in modo particolare il cosiddetto Sud globale e le persone
disabili che vi abitano. Questa è un'ulteriore prova che le grandi aziende danno
sempre la priorità al profitto rispetto alla vita umana.
Il Covid-19 non è solo un pericolo per le persone con disabilità, ma anche una
fonte di disabilità a lungo termine: stanchezza, difficoltà di concentrazione e
di memoria, problemi respiratori, ecc. Una delle contraddizioni del capitalismo
che la pandemia ha messo in evidenza è l'impossibilità di una visione a lungo
termine. Infatti, non proteggendo la salute della popolazione, il sistema perde
forza lavoro complessiva nel lungo periodo e aumenta i costi delle assicurazioni
e dell'assistenza sociale.
Inoltre, nel sistema sanitario capitalista, che ha contribuito a causare la
pandemia, anche lo status socioeconomico gioca un ruolo decisivo nell'esito
delle cure. Le persone con meno disponibilità finanziaria soffrono quindi in
modo particolarmente grave degli effetti negativi della loro disabilità perché
non dispongono di cure valide o per altri motivi legati alle loro condizioni
economiche e sociali. Il sistema sanitario svizzero è caratterizzato da numerose
compagnie di assicurazione sanitaria in concorrenza tra loro. La selezione in
base al rischio di malattia è vietata dalla legge. Ciononostante, le compagnie
di assicurazione sanitaria spesso rendono più difficile l'accesso agli esami e
ai trattamenti necessari e li negano. Le persone disabili sostengono costi
sanitari particolarmente elevati e allo stesso tempo hanno spesso un reddito
inferiore. Queste persone risultano quindi ancora più vulnerabili nel sistema
sanitario. Ciò è dovuto alla mancanza di solidarietà nel finanziamento del
sistema sanitario svizzero con premi pro capite e franchigie (diverse).[35]
Tuttavia, il Covid-19 ha dimostrato anche che le misure per proteggere la salute
sono possibili e che la popolazione può seguirle, a patto che non sia
influenzata da discorsi di estrema destra. È stato quindi dimostrato che le
misure per migliorare l'accessibilità in generale possono essere attuate se c'è
una sufficiente volontà politica in tal senso, oltre a invalidare i discorsi
pericolosi e le teorie cospirative. Tuttavia, il Covid-19 non è scomparso e
continua a essere una fonte di disabilità e una minaccia particolare per le
persone che già vivono con una disabilità.
Lavoro di cura, riproduzione e sessualità:
l’antiabilismo femminista
La società capitalista non organizza il lavoro di cura come una responsabilità
sociale, ma lo esternalizza in rapporti di lavoro non retribuiti o precari. Le
persone disabili sono doppiamente colpite da questa logica: spesso dipendono
dall'assistenza, ma allo stesso tempo sono sfruttate come lavoratori/trici* di
cura, sia in famiglia, sia per la richiesta di competenze nella vita familiare
della classe media, sia nei lavori di cura mal pagati.
Il sostegno statale alle persone con disabilità è deliberatamente inadeguato.
Invece di garantire servizi di assistenza completi e autodeterminati, la cura e
gli aiuti sono considerati una responsabilità privata. I/le* parenti, per lo più
donne e minoranze di genere, sono costrett* a farsi carico di questo lavoro,
spesso non retribuito. Manca il riconoscimento sociale, da un lato, ma
soprattutto la sicurezza finanziaria e sociale per questo lavoro, che costringe
il personale di cura e le persone assistite a dipendenze permanenti e non
professionali. Allo stesso tempo, gli/le* assistenti professionali, spesso donne
migranti, sono impiegat* in condizioni precarie. I servizi di cura e assistenza
sono messi in concorrenza tra loro, mentre le spese dello stato vengono
tagliate. Il lavoro di cura viene quindi svalutato al massimo, sia come “dovere
familiare” non retribuito che come servizio sottopagato.
Le persone disabili non si trovano solo di fronte a diritti limitati
nell'assistenza e nel sostegno, ma anche a massicce interferenze nella loro
autodeterminazione fisica. La sessualità, la riproduzione e l'intimità sono
spesso negate o controllate in modo problematico. Le persone sotto tutela
globale possono essere sterilizzate contro la loro volontà se le autorità lo
ritengono “necessario”. Questa pratica è un attacco diretto
all'autodeterminazione fisica.[36] Per le persone disabili, la logica
patriarcale del controllo specifico del genere sul corpo e sulla riproduzione
non è evidente solo nel diritto all'aborto, ma anche, al contrario, nel diritto
ad avere figli”. Il personale medico, le autorità e l'ambiente sociale spesso
mettono in dubbio che le persone disabili “possano” o “debbano” essere
genitori/trici*. Le barriere strutturali rendono la gravidanza e la
genitorialità ancora più difficili. Sebbene i programmi di uccisione diretta del
nazionalsocialismo menzionati in precedenza sembrino appartenere al passato,
l'ideologia che li sosteneva esiste ancora. Se da un lato si discute
dell'aumento dei costi dell'assistenza, dall'altro metodi medici come la
diagnosi prenatale, la diagnosi preimpianto o la fecondazione in vitro aprono
nuove possibilità alla genetica riproduttiva neo-eugenetica.[37] Gli aborti
dovuti a una diagnosi di disabilità sono ampiamente accettati dalla società. La
disabilità viene dipinta come un “peso” evitabile, non come una parte legittima
della vita.[38]
L'autodeterminazione sessuale è sistematicamente negata alle persone disabili.
Poiché sono infantilizzate o disumanizzate, viene loro negata la sessualità.
Molte persone disabili crescono senza programmi di educazione sessuale e senza
opportunità di contatti sessuali e sono limitate nelle loro relazioni in
istituti o attraverso la tutela. Quando le persone disabili esprimono i loro
bisogni sessuali, spesso ciò viene considerato irrilevante. Le persone che hanno
bisogno di cure o assistenza devono giustificarsi se queste vengono utilizzate
anche per esigenze sessuali. Molte persone che vivono in istituti non hanno la
possibilità di organizzare le relazioni intime in modo autodeterminato.
Allo stesso tempo, le persone con disabilità sono colpite in modo sproporzionato
dalla violenza sessualizzata, soprattutto nei sistemi residenziali chiusi.
Dipendenze strutturali, relazioni di potere ineguali e tabù sociali facilitano
la violenza e le aggressioni, soprattutto negli istituti. A differenza delle
donne non disabili, le donne disabili hanno dieci volte più probabilità di
essere vittime di violenza sessuale, ma molti casi rimangono invisibili perché
non vengono presi sul serio o non vengono riconosciuti come tali.[39] Mentre la
loro sessualità è negata da un lato, i corpi disabili sono feticizzati
dall'altro, in quanto visti come “devianti” o “carenti”. Per questo motivo e per
la mancanza di luoghi di incontro sociale o di educazione sessuale, trovare,
mantenere e concludere relazioni e rapporti sessuali è particolarmente difficile
per le persone con disabilità cognitive. Per questo motivo sono essenziali
servizi di educazione sessuale, consulenza sessuale e assistenza sessuale estesi
e a bassa soglia.
Il controllo sui corpi delle persone disabili non si limita ai tabù sociali e
alle relazioni di potere, ma viene mantenuto anche attraverso la pratica medica.
Le persone disabili sono soggette a un paternalismo medico superiore alla media,
sia attraverso operazioni forzate, interventi ormonali o il rifiuto di alcuni
servizi medici. Molte persone disabili sperimentano che il personale medico non
prendono sul serio le loro lamentele o prendono decisioni sopra le loro
teste.[40]
Molte lotte femministe si concentrano sull'autodeterminazione riproduttiva o su
una migliore retribuzione del lavoro di cura, ma dimenticano le prospettive
delle persone disabili. Tuttavia, il femminismo può essere coerente solo se è
diretto contro le strutture patriarcali e abiliste in egual misura. La
svalutazione del lavoro di cura, il controllo sulla riproduzione e la
discriminazione delle persone genitrici disabili mostrano quanto questi
meccanismi di dominio siano strettamente intrecciati. Le persone disabili hanno
il diritto all'autodeterminazione sessuale e fisica. Una società che vede la
sessualità e la disabilità come una contraddizione non solo consolida la
violenza e la dipendenza, ma nega anche alle persone disabili i diritti umani
fondamentali.
Rivendicazioni
Il divieto di sterilizzazione forzata
Garantire il diritto alla genitorialità per le persone con disabilità
Accesso semplice e non burocratico ai servizi di assistenza. Ciò include
anche la remunerazione dei servizi di assistenza forniti dai/dalle*
familiari.
Le persone disabili devono avere un diritto democratico di
codeterminazione nel sistema sanitario. Questo vale a tutti i livelli
gestionali e decisionali, per garantire che le decisioni siano prese a
favore dei/delle* pazienti disabili e non contro di loro.
Il diritto all'autodeterminazione sessuale. Ciò include l'accesso
all'educazione sessuale, alla consulenza sessuale e all'assistenza
sessuale,
Creazione di un punto di contatto per la violenza (sessualizzata) contro
le persone con disabilità.
Vita autodeterminata invece di isolamento e
oppressione istituzionale
Il diritto alla casa è un diritto umano fondamentale. Tuttavia, la crisi
abitativa generale sta colpendo in modo particolare le persone con disabilità:
gli alloggi facilmente accessibili sono rari, costosi e spesso soggetti a
elevati ostacoli burocratici. Coloro che necessitano di assistenza o cure si
ritrovano rapidamente in alloggi istituzionalizzati, poiché è difficile
raggiungere una vita autodeterminata. Queste istituzioni sono strutture
organizzative in cui le persone disabili vivono, lavorano o sono assistite
separatamente dalla vita sociale quotidiana. Di solito seguono procedure rigide
e privilegiano la logica dell'istituzione rispetto ai bisogni individuali e
all'autodeterminazione.
Solo il 6% circa degli appartamenti svizzeri è privo di barriere
architettoniche[41], e anche questi spesso non sono realmente accessibili.[42]
Allo stesso tempo, gli affitti dei pochi appartamenti accessibili sono ben al di
sopra del budget di molte persone disabili. Tuttavia, mentre il governo federale
e i cantoni si vantano di promuovere l'accessibilità, gli obblighi legali sono
minimi: secondo la legge sull'uguaglianza delle persone disabili,[43]
l'accessibilità è obbligatoria solo per le nuove costruzioni e le conversioni di
edifici residenziali con più di otto appartamenti. È inoltre possibile derogare
a tale obbligo se, ad esempio, è troppo costoso o interferisce con la tutela del
patrimonio locale.[44] Inoltre, gli appartamenti delle città moderne non sono
accessibili alle persone con disabilità, il che significa che molte persone
possono vivere solo in comunità più piccole o in quartieri poco sviluppati. Gli
edifici pubblici, le fermate dei trasporti pubblici e i sentieri sono ancora
meno accessibili rispetto alle città. Tuttavia, un alloggio con poche barriere
non è sufficiente per la partecipazione sociale e una vita autodeterminata. Le
barriere devono essere costantemente rimosse negli spazi pubblici e in tutti gli
edifici. La semplice rimozione di singole barriere non è sufficiente, perché
l'assenza di barriere non è la stessa cosa: un montascale elimina l'ostacolo dei
gradini, ma lo svantaggio rimane perché il tempo necessario per salire le scale
è notevolmente maggiore. Inoltre, le strutture di uso quotidiano devono essere
situate in prossimità l'una dell'altra.
Le difficoltà incontrate dalle persone disabili nel trovare un alloggio si
riflettono anche in un sondaggio condotto da Pro Infirmis. Nel 2023, la metà
delle persone disabili intervistate ha dichiarato di sentirsi limitata nella
ricerca di un alloggio adeguato. Oltre alla mancanza di risorse finanziarie o di
spazio abitativo, è evidente il grande problema della discriminazione sul
mercato immobiliare: mancanza di elenchi di alloggi accessibili, informazioni
insufficienti negli annunci, difficoltà con la flessibilità richiesta per le
visure e cumuli di domande respinte solo a causa della disabilità.[45]
Invece di facilitare la vita indipendente delle persone con disabilità, lo Stato
promuove soprattutto le case di riposo e la vita assistita. Circa 44’000 persone
con disabilità in Svizzera vivono in istituti, non perché lo vogliano, ma perché
forme di vita alternative sono quasi impossibili da finanziare.[46] In questo
caso, la maggior parte di loro non può scegliere liberamente il proprio cantone
di residenza, poiché i cantoni occupano principalmente i posti nei propri
istituti. Ciò significa che anche i fondi cantonali sono legati ai posti in
istituto e non vengono utilizzati per promuovere progetti abitativi alternativi.
[47]
Inoltre, l'attuale implementazione degli alloggi istituzionalizzati viola
numerose disposizioni della CRPD delle Nazioni Unite e dei diritti umani. Le
strutture sono spesso ospedaliere, separate dagli spazi sociali e lasciano poca
libertà nell'organizzazione della propria vita. In un istituto, di solito viene
imposto con chi si deve vivere, cosa c'è nel menu e come si deve trascorrere il
tempo libero. Inoltre, di solito non è possibile lavorare nel mercato del lavoro
primario a causa delle strutture giornaliere dell'istituto e dei lavori nel
mercato del lavoro secondario. Lavorare nel mercato del lavoro secondario riduce
il diritto alle prestazioni di assistenza. Per le persone che vivono in
istituto, ciò significa che non c'è modo di accedere al mercato del lavoro
primario: Non c'è modo di entrare nel mercato del lavoro primario a causa della
situazione abitativa e non c'è modo di entrare in un'altra situazione abitativa
a causa della situazione lavorativa. Le case di riposo rendono impossibile
l'autodeterminazione e creano una dipendenza quasi assoluta.[48]
Una vita autodeterminata richiede che le persone disabili abbiano le stesse
opportunità e gli stessi diritti di tutte le altre quando si tratta di scegliere
una casa. Ciò significa alloggi accessibili, accesso rapido, sicurezza
finanziaria e il diritto di decidere liberamente dove, come e con chi vivere.
Rivendicazioni
Le persone disabili devono essere libere di scegliere dove e come vivere.
Le persone disabili devono avere il diritto legale a un alloggio senza
barriere e a prezzi accessibili.
Il contributo di assistenza deve essere ulteriormente sviluppato per
consentire una vita autodeterminata. Occorre inoltre promuovere forme
abitative alternative.
I centri di assistenza devono essere gradualmente chiusi non appena
esisteranno alternative sufficienti. Le persone devono essere sostenute
nella transizione verso una vita indipendente. Fino ad allora, i requisiti
più severi relativi all'attuazione della CRPD delle Nazioni Unite devono
essere applicati ai finanziamenti.
Gli edifici esistenti devono essere ristrutturati il più rapidamente
possibile. La riconversione di edifici pubblici molto frequentati deve
avere la priorità. In particolare, la conversione degli edifici
residenziali dovrebbe essere sovvenzionata. I costi della conversione non
devono essere sostenuti dagli/dalle* inquilin*.
Tutti i nuovi edifici devono essere progettati per essere il più possibile
accessibili. Se i criteri non sono soddisfatti, le concessione edilizia
devono essere rifiutate.
Nessun accesso, nessuna partecipazione: le
persone disabili sono escluse dalla vita
pubblica
Chi non ha accesso a un alloggio personale e centralizzato perde molto di più di
un semplice tetto sopra la testa. Senza alloggi accessibili e a prezzi
contenuti, molte persone con disabilità sono costrette a vivere in zone
difficili da raggiungere o in istituti chiusi. Questo non solo limita la loro
libertà personale, ma aumenta anche il loro isolamento sociale. I trasporti
pubblici non sono ancora utilizzabili per molte persone disabili. Nonostante
decenni di promesse politiche e norme di legge, il 40% delle stazioni
ferroviarie e i due terzi delle fermate di tram e autobus non soddisfano ancora
i requisiti di “accessibilità”.[49],[50] Allo stesso tempo, l'attenzione
politica si concentra in particolare sulla rimozione di spazi tra il treno e la
piattaforma, dimenticando numerose altre barriere nei percorsi informativi o
nelle strutture sanitarie, nonché nelle strutture pubbliche e di vendita. Le
misure di sostegno o di sostituzione sono spesso considerate sufficienti, ma
hanno un effetto segregante e rendono impossibile l'autonomia delle persone
disabili. La pianificazione territoriale si concentra principalmente
sull'efficienza economica dei quartieri o delle aree e sull'accessibilità per i
pendolari. Tuttavia, la mobilità è un prerequisito fondamentale per mantenere i
contatti sociali, sfruttare le attività del tempo libero o essere coinvolt* in
associazioni, oltre che per svolgere in generale le attività quotidiane
necessarie in modo indipendente.
Oggi le persone disabili non hanno accesso alla vita sociale. Il trasporto
pubblico non è l'unico problema. Gli eventi culturali e le visite a spazi comuni
come ristoranti, biblioteche o parchi spesso non sono possibili. La pubblicità
di locali, spazi pubblici o eventi non raggiunge bene le persone disabili e di
solito non è di facile comprensione. Le istituzioni non si sforzano di offrire
attività ricreative al di fuori delle loro sedi e dei loro gruppi. Se da un lato
mancano le informazioni sull'accessibilità, dall'altro molti eventi, locali o
percorsi di viaggio presentano barriere. Anche la scelta del programma e delle
rappresentazioni negli eventi culturali non è adatta a molte persone disabili e
le alternative adeguate scarseggiano. Se le persone disabili appaiono nell'arte
o nella cultura, spesso sono ritratte da persone non disabili e gli stereotipi
vengono riprodotti. Sono state addotte varie ragioni per la mancata rimozione
delle barriere, dalla mancanza di priorità alla mancata riflessione. Spesso le
barriere non sono un effetto collaterale involontario, ma una conseguenza
diretta della logica capitalistica: quando l'accessibilità comporta dei costi,
rimane una preoccupazione secondaria. Allo stesso tempo, le barriere finanziarie
alle misure di assistenza o di costruzione sono una preoccupazione importante.
Gl/le* interpreti del linguaggio dei segni o la conversione dei servizi igienici
sono particolarmente difficili per chi organizza piccoli eventi culturali o per
le associazioni e le organizzazioni con un budget ridotto. Hanno bisogno di un
sostegno finanziario perché spesso sono consapevoli delle barriere ma non sono
in grado di affrontarle.
Rivendicazioni
Gli ostacoli al traffico devono essere rimossi. Oltre al trasporto
pubblico, ciò include anche percorsi tattili, percorsi pedonali
accessibili alle sedie a rotelle e attraversamenti stradali sicuri.
È necessario creare canali di informazione a bassa barriera in tutti i
settori. Ciò significa fornire informazioni in vari formati che possano
essere percepiti da diversi sensi e siano facili da capire.
Tutti gli edifici e gli spazi pubblici devono essere convertiti senza
indugio per renderli il più possibile accessibili. La conversione deve
essere promossa da requisiti legali che coprano l'intero ambito
dell'”accessibilità” e da programmi di finanziamento mirati.
Promuovere l'accessibilità delle attività culturali e ricreative. Ciò
richiede un sostegno finanziario per chi organizza eventi, le associazioni
o i luoghi di cultura quando si tratta di finanziare conversioni o servizi
di assistenza.
Un mondo per tutt*, ma senza istituzioni
L'esistenza di istituzioni è un pilastro centrale del sistema abilista. Case,
laboratori, “luoghi di lavoro protetti” o alloggi protetti si basano sull'idea
che le persone disabili non siano in grado di vivere in modo indipendente. Le
istituzioni possono essere descritte come aventi tre caratteristiche o modalità
di funzionamento: le persone residenti sono isolate dal resto della società e/o
costretti a vivere con altre persone. Non hanno un controllo sufficiente sulla
loro vita e sulle decisioni che le riguardano, e le esigenze dell'istituzione
hanno la precedenza sui bisogni individuali delle persone residenti. Sono
espressione e componente centrale di un sistema che isola ed emargina le persone
disabili.[51] Da un lato a causa della posizione per lo più remota, ma
soprattutto per il fatto che i/le* residenti devono spesso vivere, lavorare e
trascorrere tutto il loro tempo libero nella stessa area. Anche le riforme delle
pratiche e della struttura degli istituti non possono porre fine all'estrema
relazione di potere e dipendenza tra assistenti e persone disabili all'interno
dell'istituto. Le istituzioni non sono “offerte di aiuto”, ma luoghi di
controllo. Un sistema che mantiene l'esistenza delle istituzioni non crea
inclusione, ma rafforza la separazione tra persone “socialmente accettabili” e
“inaccettabili”. Chiunque voglia un'autentica partecipazione e
autodeterminazione deve lottare per l'abolizione di tutte le istituzioni, cioè
per la deistituzionalizzazione. Tutte le forme di istituzionalizzazione devono
essere abolite, impedendo nuovi inserimenti e tagliando i finanziamenti alle
istituzioni. Questi ultimi dovrebbero invece essere utilizzati per sostenere
strutture e misure che consentano una vita autodeterminata. Le argomentazioni a
favore dell'istituzionalizzazione, che la giustificano come “misura protettiva”
in assenza di sostegno da parte della comunità, di povertà o di
stigmatizzazione, dimostrano solo che il vero problema è l'abilismo sistemico.
Tuttavia, la semplice chiusura delle istituzioni non è sufficiente, in quanto
richiede lo sviluppo del lavoro di cura sulla base della solidarietà
comunitaria, mentre l'ampliamento delle reti di assistenza e l'edilizia
cooperativa, intergenerazionale e solidale potrebbero dare forma a una società
che combina alloggio e lavoro di cura. In questo modo, i quartieri e le
strutture pubbliche sostengono le esigenze specifiche di tutte le persone che vi
abitano. Le persone disabili, in particolare gli ex residenti degli istituti,
sono al centro della pianificazione per la deistituzionalizzazione e sono liber*
dall'influenza dei gruppi che beneficiano degli istituti.[52]
Per una sinistra antiabilista e anticapitalista!
L’antiabilismo rivoluzionario è anticapitalista. Le persone disabili vivono
l'oppressione non solo come emarginazione sociale, ma anche come svantaggio
economico diretto. La lotta per i loro diritti non deve quindi limitarsi a
politiche riformiste di inclusione, ma deve attaccare il capitalismo e i suoi
meccanismi di oppressione. La maggior parte delle organizzazioni che si battono
per i diritti delle persone disabili non lo fa. Invece, perseguono obiettivi
riformisti e progressisti, la maggior parte dei quali sono finalizzati al
sostegno finanziario e ai servizi di assistenza. Negoziano con lo Stato invece
di lottare contro le sue strutture. Chiedono leggi migliori, maggiori
finanziamenti e una migliore sicurezza sociale, invece di mettere in discussione
il sistema che mantiene le persone disabili dipendenti e povere. In questo modo,
rimangono principalmente fornitori di servizi che gestiscono la povertà invece
di combatterla. Il loro interesse è mantenere sé stessi e le istituzioni. Una
politica rivoluzionaria sulla disabilità deve liberarsi da questa dipendenza.
Deve collegarsi ai movimenti operai, alle lotte femministe e alle strutture
anticapitaliste, invece di affidarsi alle elargizioni dello Stato.
L'abilismo è trascurato anche nei movimenti di sinistra, sia come atteggiamento
che come pratica. Mentre si assiste a una crescente mobilitazione contro il
razzismo, il patriarcato e il capitalismo, le attività rivolte alla lotta
antiabilista sono ancora un'eccezione. In questo contesto, è degna di nota anche
la mancanza di attenzione nei confronti delle lotte antiabortiste del passato.
Il movimento antiabortista degli anni '80 aveva richieste chiare e coerenti, ma
i suoi successi non sono mai stati riconosciuti a lungo termine. Manca anche una
teoria antiabilista ampia e materialista. L'abilismo deve essere inteso come una
questione di classe, perché la lotta per ottenere migliori prestazioni sociali
non è sufficiente: è necessaria una società che non giudichi nessun* in base
alla sua utilizzabilità.
A tal fine, è compito di tutta la sinistra rendere i propri spazi e servizi più
accessibili alle persone disabili. Le persone disabili devono diventare visibili
come soggetti attiv*. L'accessibilità deve essere concepita in modo globale e
alle persone disabili deve essere dato il potere di interpretazione. In modo
tale che la nostra lotta renda giustizia a tutt* secondo i loro bisogni e che
tutti possano partecipare secondo le loro possibilità. Norme di abilità non
riflesse esistono ancora in molte strutture di sinistra e spesso le dominano.
Dobbiamo attaccare esplicitamente queste norme per poter affermare di essere un
movimento anti-abilista. Le barriere esistono negli eventi e nelle azioni, nella
comunicazione interna ed esterna e nella cultura delle organizzazioni.
Allo stesso tempo, invece di parlare di “accessibilità” irraggiungibile nei
nostri spazi, dovremmo lottare specificamente per una società a basse barriere.
Una società che non solo riconosca e affronti in modo globale le barriere
fisiche, ma anche quelle sociali, economiche e culturali nelle loro
manifestazioni tangibili e alle loro radici sistematiche. Il lavoro educativo è
centrale a questo scopo, ma non deve essere posto esclusivamente sulle spalle
delle persone con disabilità. La sinistra non deve pretendere di rendere il
sistema più “inclusivo”, ma di rovesciare radicalmente i meccanismi di
esclusione sociale. Ciò richiede una rete critica del sistema che possa rendere
visibile la resistenza antiabilista attraverso campagne e attività. Inoltre, le
organizzazioni antiabortiste già attive devono essere incluse nelle alleanze dei
movimenti femministi, antirazzisti e anticapitalisti.
Poiché l'abilismo è stato creato dalla società con la categoria e per l'ordine
capitalista, solo un movimento forte e coerente può superarlo. Non stiamo solo
lottando per una maggiore accessibilità, ma per la fine di un sistema che
valuta, valorizza e quindi emargina le persone. Per fare questo, dobbiamo
rompere con il capitalismo, con la violenza statale e sociale e con le
istituzioni che ci hanno privato di potere. Per farlo, dobbiamo strappare al
capitale l'istruzione, il lavoro, la casa, l'assistenza sanitaria, la cultura e
la partecipazione, e renderli disponibili a tutt*. La nostra solidarietà non
deve essere selettiva, ma radicale, scomoda e concreta. Perché nella lotta per
il socialismo, l'abilismo deve essere attaccato in modo coerente, alla radice,
con e dalle persone disabili!
[2] Engels, F. (1878). Anti-Dühring (M. E. Dühring bouleverse la science). J.-M.
Tremblay. p. 21. http://gesd.free.fr/antiduhr.pdf
[3] Va inoltre notato che il termine disabilità è emerso solo durante il
Rinascimento. Prima di allora, sia la parola che il termine erano privi di
significato. (HANDICAP: definizione di HANDICAP,
https://www.cnrtl.fr/definition/academie9/handicap, verificato il 31 marzo 2025)
[5] Boëldieu-Trevet, J. (2018). Des nouveau-nés malformés et un roi boiteux :
Histoires Spartiates. Pallas. Revue d'études antiques, 106, articolo 106.
https://doi.org/10.4000/pallas.5737
[6] Platone, Repubblica, Libro V
[7] L’oggettificazione è il processo attraverso il quale qualcosa che non è una
“cosa” acquisisce le proprietà delle "cose". In questo caso, le persone che
perdono le loro caratteristiche di esseri viventi con una propria coscienza per
essere considerate merci dal sistema capitalistico.
[8] Karl Marx, Le Capital, Livre I - Chapitre XXI : Le salaire aux pièces, 1867
[9] Clouet, H. (2023). Les Quatre Usages du Concept de L'armée de Réserve (I
quattro usi del concetto di esercito di riserva). Actuel Marx, 73(1), 134-154.
https://doi.org/10.3917/amx.073.0134.
[12] ibid.
[14] Klaus Klemm: Sonderweg Förderschulen: Hoher Einsatz, wenig Perspektiven –
Eine Studie zu den Ausgaben und zur Wirksamkeit von Förderschulen in
Deutschland, P. 7
[16] Black, Indigenous and People of Color
[19] ibidem, p. 8
[29] Darwinismo sociale, hls-dhs-dss.ch, https://hls-dhs-
dss.ch/it/articles/017431/2012-01-04/, verificato il 3 aprile 2025
[30] Eugenetica deriva da "eugenes" (in greco "nato nobile") e indica gli
obiettivi dichiarati del movimento eugenetico.
[34] Lee, S., & Kim, J. (2020). A country report: impact of COVID-19 and
inequity of health on South Korea’s disabled community during a pandemic.
Disability & Society, 35(9), P. 1514–1519
https://doi.org/10.1080/09687599.2020.1809352
[37] Diagnosi prenatale (PND): esami effettuati durante la gravidanza per
individuare anomalie nel/nella* nascitur*. Diagnosi genetica preimpianto (DGP):
test genetico sugli embrioni prima dell'impianto nella fecondazione artificiale.
Fecondazione in vitro (FIV): fecondazione artificiale in laboratorio con
successivo trasferimento dell'embrione.
[41] Questo paragrafo si riferisce all'accessibilità, poiché gli studi e le
leggi si basano su questo termine. Allo stesso tempo, è necessario chiarire che
una completa accessibilità è probabilmente impossibile da realizzare. Il termine
"accessibilità" si riferisce solitamente all'accessibilità delle sedie a
rotelle.
[43] 151,3 Legge federale sull'eliminazione di svantaggi e nei confronti dei
disabili https://www.fedlex.admin.ch/eli/cc/2003/667/it, consultato il 12 aprile
2025
[49] Si parla di accessibilità perché anche le norme giuridiche utilizzano
questo termine.
[50] L'accessibilità come obiettivo - ancora molti ostacoli per le persone con
disabilità
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