Veranstaltung: | ao. JV 19. Juni 2022 |
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Status: | Eingereicht |
Eingereicht: | 23.06.2022, 16:11 |
Ersetzt: | A2: Uscire dalla crisi climatica: una buona vita per tutt*! |
A2NEU: Uscire dalla crisi climatica: una buona vita per tutt*!
Antragstext
Uscire dalla crisi climatica: una buona vita per
tutt*!
La crisi climatica è il problema più urgente del nostro tempo. È una minaccia
per molte delle condizioni fondamenti della vita sulla terra. Per evitare che
assuma le proporzioni catastrofiche che si possono ipotizzare attualmente, o che
porti a conseguenze ancora peggiori, il riscaldamento del clima terrestre non
dovrà superare 1,5°C rispetto all'epoca preindustriale. Il riscaldamento odierno
è già di 1,1 °C. Il limite di 1,5°C dovrebbe essere raggiunto nel 2028:
l'emergenza ê ora![1]
La politica climatica svizzera, dominata dalla borghesia, ha finora adottato
solo misure assolutamente insufficienti. Nella GISO Svizzera sappiamo che
dovremo superare il capitalismo per poter contenere adeguatamente la crisi
climatica. Siamo a favore di una politica climatica sociale, efficace e coerente
e abbiamo già affrontato la crisi climatica in una serie di documenti e
risoluzioni.[2] Nel 2016 è stato adottato un documento sul tema e nel 2019 è
stato presentato un piano d'azione concreto.
Ma la volontà di superare il capitalismo da sola non basta, bisogna anche sapere
dove si vuole andare. Per questo motivo, in questo documento tracciamo una
visione che intende definire la direzione della nostra politica climatica. Una
visione di come possiamo evitare la crisi climatica e di conseguenza creare una
buona vita per tutt* attraverso il rovesciamento del sistema esistente e un
cambiamento sociale.
Il capitalismo come causa della crisi climatica
Il capitalismo è definito dalla proprietà privata dei mezzi di produzione.
Storicamente, il primo passo verso questo obiettivo è stata l'accumulazione
originaria[3], resa possibile, tra l'altro, dalla privatizzazione dei campi
comuni. Anche le colonie europee hanno svolto un ruolo fondamentale. La
distruzione dell'ambiente e della vita sociale dei territori colonizzati, unita
allo sfruttamento del lavoro delle persone schiavizzate, ha fornito le risorse
che hanno reso possibile la produzione capitalistica. Ad esempio, i coloni
britannici smantellarono completamente l'industria tessile indiana, che
funzionava in modo sostenibile da millenni, per dirottare le forniture di cotone
verso il nascente capitalismo europeo.
La proprietà privata dei mezzi di produzione significa che una manciata di
borghesi possiede tutte le infrastrutture necessarie per la produzione di beni e
servizi e quindi decide da sola sul loro utilizzo - senza dover prestare
attenzione ai bisogni del 99% e alle capacità del pianeta. Ma questo non
significa che i/le* capitalist* siano liberi di fare ciò che vogliono: sono
soggett* ai vincoli della concorrenza reciproca. Per tenere il passo e rimanere
concorrenziali, devono accumulare capitale. Per questo motivo, l'intero sistema
si basa sulla massimizzazione del profitto a breve termine e sulla necessità di
crescita.
La massimizzazione del profitto a breve termine consente alla borghesia di
accumulare quanto più capitale possibile. Per massimizzare i profitti, vengono
sfruttate le persone lavoratrici e l’ambiente. Per ottenere un profitto, il
capitale cerca continuamente di espandere la propria influenza sulla natura. Ciò
non avviene solo acquistando la terra, ma anche appropriandosene con la
violenza. Le popolazioni indigene e i/le* piccol* agricoltor* sono quelli che ne
soffrono di più.
Scientificamente, le emissioni di gas serra di origine antropica sono la causa
della crisi climatica. Questi provengono in gran parte da combustibili fossili.
Ed è proprio qui che sta il problema: senza energie fossili, non c'è trasporto a
basso costo, non ci sono bassi costi di produzione e quindi non c'è il massimo
profitto. E anche se oggi alcune fonti di energia rinnovabile sarebbero
investimenti più convenienti, i/le borghesi hanno poco interesse nello smettere
di investire nei combustibili fossili, finché questi rimangono redditizi.
Inoltre, questa massimizzazione dei profitti avviene a breve termine e quindi
incarna l'esatto opposto della prospettiva a lungo termine necessaria per
rispettare i limiti del pianeta. In breve: tutto ciò che non è redditizio qui e
ora viene scartato, senza tener conto delle conseguenze devastanti per il nostro
pianeta e soprattutto per chi lo abita.
Mentre una parte dei profitti finisce direttamente nelle tasche de* borghesi,
un'altra parte viene investita nelle loro imprese per modernizzarle e
ingrandirle in modo da produrre di più e a minor prezzo: questo processo si
chiama accumulazione di capitale. Se i/le capitalist* non agiscono in questo
modo, saranno sopraffatti dalla concorrenza. Ciò crea un circolo vizioso in cui
la produzione cresce all'infinito e le emissioni di gas serra aumentano
all'infinito, in un mondo con risorse limitate. L'accumulo di capitale si
traduce quindi in una spinta alla crescita. Questa massa sempre crescente di
beni deve poi essere consumata, e ciò è reso possibile, tra l'altro, dalla
pubblicità e dall'obsolescenza programmata[4]. Il sovraconsumo è quindi una
conseguenza diretta della sovrapproduzione capitalistica.
Infine, nel capitalismo chi detiene la ricchezza ha un enorme potere politico.
Le ricchissime lobby dei combustibili fossili e di tutti quegli interessi
economici in netto contrasto con la protezione dell’ambiente congelano ogni tipo
di politica ambientale che contrasti gli interessi dei capitalisti. Inoltre
diffondono “fake news” e fanno campagne per relativizzare il problema e
preservare il sistema attuale distruttivo. Questo è un ennesimo elemento
caratteristico del capitalismo che rende impossibile la protezione
dell’ambiente.
Questo sistema distruttivo avvantaggia in modo massiccio l'1% più ricco, mentre
il restante 99% soffre. Le persone di colore e le persone FLINTA*[5], le persone
che lavorano nel Sud globale, le persone più povere del Nord globale e gli
animali sono particolarmente colpite.Nonostante abbiano contribuito molto poco
al riscaldamento climatico, queste persone soffrono maggiormente sotto questo
sistema distruttivo. Da un lato, sono sfruttate nel processo che causa la crisi
climatica attraverso l'interazione tra capitalismo e altri sistemi di
oppressione, d'altra parte, sono le più colpite dalle conseguenze della crisi
climatica. Infatti, queste persone sono minacciate dai disastri naturali, vivono
in un ambiente inquinato e hanno le maggiori difficoltà di adattamento a causa
della loro vulnerabilità economica.
Per una politica climatica sociale
La risposta della politica svizzera a queste condizioni insostenibili può essere
riassunta in una parola: responsabilità individuale. La crisi climatica viene
presentata come un problema individuale piuttosto che sistemico. L'idea è che
per risolvere la crisi climatica basta lasciare che i mercati si spostino verso
branchie meno ecologicamente impattanti, come quella delle auto elettriche.
Addirittura, il problema ambientale viene visto come nuova opportunità di
crescita. Queste idee seguono un calcolo capitalistico: i grandi emettitori di
gas serra vengono nascosti e la colpa viene cercata nelle singole persone, che
finiscono per accusarsi a vicenda. Le grandi responsabili, tuttavia, sono le
grandi aziende e l'1% più ricco. Chi richiama l’attenzione, tramite l’attivismo,
su queste questioni subisce la repressione in tutto il mondo.
Le nuove leggi in Svizzera prevedono solo incentivi finanziari, ma non divieti.
Ciò comporta un aumento dei prezzi della benzina e del gasolio per i
riscaldamenti, così come altre conseguenze negative per la popolazione. Queste
misure sono tutt'altro che efficaci e colpiscono in modo particolare le persone
a basso reddito. Il fallimento dell'incoerente legge sulla CO2, respinta in
votazione nell’estate 2021, è l'emblema di questa evoluzione. Come unico
presunto risultato della politica climatica borghese della Svizzera, si trattava
di una proposta di legge ingiusta e inefficace, che avrebbe fatto leva sulla
responsabilità individuale del 99% e sugli incentivi finanziari senza ritenere
sufficientemente responsabili chi inquina veramente. È chiaro che la "politica
climatica" borghese sia un completo fallimento.
Possiamo definire l'attenzione al consumo, ai meccanismi di mercato e alle
soluzioni tecnologiche come ulteriori caratteristiche della politica climatica
borghese. L'attenzione al consumo è una conseguenza diretta della favola della
responsabilità individuale. La politica climatica borghese mira a creare nuove
modalità e pratiche di consumo per il 99% invece che invertire le logiche di
sovrapproduzione e sovraconsumo. Eppure siamo consapevoli che la
sovrapproduzione e gli incentivi al consumo insiti nel sistema capitalista
portano ad un utilizzo eccessivo e all'esaurimento delle risorse del pianeta. .
Inoltre, i meccanismi di mercato, come i diritti di emissione negoziabili,
svolgono un ruolo importante nella politica climatica borghese. La Svizzera è
una sostenitrice particolarmente accanita di questi meccanismi nei negoziati
internazionali sul clima, che finanziano principalmente le riduzioni delle
emissioni in altri Paesi - alcune delle quali sarebbero avvenute comunque -
invece di occuparsi delle proprie emissioni. Questi meccanismi di mercato non
solo sono uno strumento insufficiente per una politica climatica efficiente, ma
hanno addirittura svolto un ruolo controproducente nei primi anni della loro
applicazione, rallentando l'eliminazione graduale delle energie fossili. Infine,
l'attuale politica climatica è caratterizzata dalla convinzione che le
tecnologie e l'innovazione possano risolvere la crisi climatica autonomamente.
Lo sviluppo di tecnologie sempre meno impattanti sull’ambiente è sicuramente
un’ottima cosa e sarà estremamente utile, esattamente come lo è il progresso
scientifico. Sicuramente, però, queste nuove tecnologie non basteranno a
risolvere le crisi. E soprattutto, l’imperativo della crescita elimina i
potenziali benefici di queste tecnologie. Con macchine meno dannose per
l’ambiente i capitalisti saranno ancor più incentivati a produrre di più, in
modo da accumulare ancor più profitto. Le nuove tecnologie non vengono usate per
produrre la stessa quantità di cose in minor tempo, ma per produrre più cose
nello stesso lasso di tempo. Di fatto, le innovazioni potranno davvero avere un
impatto positivo solo in una società libera dalle logiche capitaliste. Solo in
una società post-crescita il progresso scientifico potrà essere utile al
benessere dell’ambiente e delle persone, piuttosto che accelerare i processi di
estrazione e smaltimento delle risorse naturali.
Abbiamo urgentemente bisogno di un'alternativa a questa politica climatica
borghese: una politica climatica sociale. Invece di attribuire la responsabilità
della crisi climatica alle singole persone, vogliamo dimostrare che il
capitalismo è la causa della crisi climatica. Dovrebbero infatti essere le
persone che traggono maggior profitto da questo sistema distruttivo a dover
pagare per affrontare la crisi climatica e le sue conseguenze. Anche le grandi
imprese e la piazza finanziaria devono essere finalmente chiamate a rispondere
delle loro azioni, attraverso divieti, tassazione e controllo democratico. La
nostra politica climatica non vuole cambiare il comportamento di consumo del
99%, ma il modo di produzione. Abbiamo quindi bisogno di una ristrutturazione
eco-sociale della sfera produttiva. Nessun* deve essere lasciato indietro in
questa ristrutturazione; la dimensione sociale della nostra politica climatica è
assolutamente centrale. Inoltre, per garantire una transizione ecologica
favorevole al 99%, il lavoro di cura dovrà essere una leva importante e una
delle componenti principali nella lotta al cambiamento climatico. Infine, la
nostra politica climatica è internazionalista e per il clima. Pertanto, il 99%
del Sud globale deve essere protetto il più possibile dalle conseguenze della
crisi climatica e deve essere aiutato incondizionatamente nell'adattarsi a
questa situazione.
La nostra visione: una vita dignitosa per tutt*!
Il capitalismo implica e promuove le crisi e rappresenta un profitto per poche
persone basato sullo sfruttamento del 99%. Dobbiamo avere il coraggio di
combattere ora per un futuro in cui una vita dignitosa sia garantita a tutt*. I
piani d'azione con i passi per una politica climatica sociale e radicalmente
anticapitalista sono già numerosi, ora dobbiamo contribuire nell’attuarli. Per
mostrare alla società per cosa lottare, abbiamo bisogno di idee chiare; la
nostra visione eco-socialista della società si basa su tre pilastri:
pianificazione ecologica democratica, post-crescita ed economia di cura.
Pianificazione economica democratica
La ristrutturazione economica non potrà avvenire in modo isolato, ma dovrà
essere necessariamente accompagnata da una trasformazione radicale di tutte le
strutture sociali. L'obiettivo dovrebbe essere un'economia pianificata
democratica, decentralizzata ed ecologica; solo in questo modo si potrà mettere
al centro il benessere della società nel suo insieme. Servono gestione e
pianificazione su più livelli, all'interno di aziende, istituzioni politiche o
attraverso le associazioni. Una gestione in cui le persone interessate decidono
democraticamente la produzione e le risorse necessarie, tenendo conto dei
bisogni della popolazione e delle capacità dell'ambiente. Dobbiamo fare in modo
che la produzione sia giustificata e rispecchi i bisogni reali delle persone,
che la svolta ecologica abbia inizio e sia nell'interesse della maggioranza e
che non vengano sfruttati né la nature, né gli animali, né le persone.
Post-crescita
È indispensabile liberare la nostra società dalla costrizione capitalistica alla
crescita. Ci stiamo impegnando per una società post-crescita, che implica la
dematerializzazione, il potenziamento e la rilocalizzazione dell'economia
attraverso la riduzione controllata delle attività economiche con un consumo
materiale concreto[6], per frenare e poi superare la sovrapproduzione e il
consumo eccessivo.Questo significa avviare un processo che ambisce a costruire
una nuova società basata su altri valori, come la sostenibilità, la democrazia,
l’equità e il benessere collettivo La crescita può e deve essere legata solo
alla qualità, e non alla quantità come in passato. Dovrebbe essere migliore e
orientata ai bisogni, invece di limitarsi a produrre sempre di più. Affinché le
persone abbiano più tempo per vivere e svilupparsi, si dovrebbe attuare una
massiccia riduzione dell'orario di lavoro. Questo lascerà più tempo per le
attività sociali e la famiglia. Inoltre, questo passo potrà dare un contributo
centrale all'eliminazione delle disuguaglianze sociali.
Lavoro di cura
In una società ecosocialista, il lavoro di cura ha un ruolo centrale. I settori
dell'assistenza devono essere collettivizzati e organizzati
democraticamente.L'utilizzo di servizi di assistenza è un bisogno fondamentale
di ogni essere senziente, il che rende il lavoro di assistenza una questione
fondamentale per ogni forma di convivenza.[8] L'organizzazione decentralizzata e
statale delle strutture di assistenza all'interno delle comunità è quindi
inevitabile per un autogoverno decentralizzato e orientato ai bisogni.
Una società solidale, in cui il lavoro di cura è distribuito in modo equo, crea
una resistenza alle crisi. Una rete sociale forte rende più resilienti in caso
di disastri e crisi – cosa di cui c'è urgente bisogno soprattutto con l'aumento
degli eventi meteorologici estremi nella crisi climatica.
Per una svolta ecosocialista!
Se vogliamo garantire non solo la sopravvivenza, ma anche una buona vita per
tutt*, il momento di cambiare è ora. Il superamento del capitalismo è
inevitabile e più urgente che mai. Non crediamo nella favola della crescita
verde, ma ci battiamo per una politica climatica radicalmente sociale e
anticapitalista. Ai responsabili della crisi si sarebbe dovuto chiedere di
pagare ieri, ma oggi li riteniamo tuttora responsabili, perché è ora di porre
fine a questo sistema distruttivo! Un altro mondo è possibile: puntiamo
sull'ecosocialismo!
[1] Masson-Delmotte, Valérie et al. : Global Warming of 1.5°C. Summary for
policy makers (nell’ambito del rapport IPCC), o.O 2022
[3] L'accumulazione originaria si riferisce al processo (a partire dal XV secolo
circa) che ha reso possibile l'instaurazione dei rapporti di produzione
capitalistici e l'accumulazione di capitale.
[4] L'obsolescenza programmata si riferisce alla deliberata limitazione della
durata di vita dei prodotti da parte di un'azienda.
[5] Donne, lesbiche, persone intersex, non binarie, transessuali e agender,
[6] Climatestrike Switzerland: Klimaaktionsplan. Kurzfassung, Zurigo 2021, P.
30.
[7] Winker, Gabriele: Care-Revolution als feministisch-marxistische
Transformationsperspektiv, in: das Argument, XX 2015, S. 538.
[8] Madörin, Mascha: Care Ökonomie. Eine Herausforderung für die
Wirtschaftswissenschaften, in: Caglar, Gülay (Hrsg.): Gender and Economics.
Feministische Kritik der politischen Ökonomie, Wiesbaden 2010, S. 90.